
Guarda il cielo è un graphic novel profondo, intimo e struggente, che affronta con delicatezza il tema della memoria, intrecciando il vissuto personale con il dramma collettivo della guerra. Al centro della narrazione c’è Luciano, un uomo ormai adulto che intraprende un viaggio verso la casa di campagna della propria infanzia, un luogo che non è solo fisico ma soprattutto mentale, emotivo, memoriale. Il pretesto narrativo è l’anniversario della morte del padre, Giuseppe, partigiano ucciso dai tedeschi durante la Resistenza e sepolto senza tomba, il cui ricordo aleggia come un’ombra silenziosa ma potente su tutta la vicenda.
Il viaggio di Luciano è un ritorno a un tempo perduto, un’occasione per confrontarsi non solo con la figura paterna ma con se stesso, con l’infanzia, con il dolore mai risolto e con il senso stesso dell’eredità familiare. Il racconto si muove su due livelli temporali che si rincorrono e si rispondono: da un lato, il presente del protagonista, fatto di silenzi, paesaggi osservati attraverso il finestrino dell’auto, odori che risvegliano ricordi assopiti, sguardi rivolti a ciò che è stato; dall’altro, il passato, rievocato con struggente lucidità attraverso i racconti della madre, dei parenti, e della stessa voce interiore di Luciano, che da adulto osserva con tenerezza e smarrimento le esperienze vissute da bambino.

Il tratto accompagna in modo impeccabile il tono della narrazione: i volti sono realistici e vibranti di emozioni, le espressioni tratteggiate con un’economia di segni che però comunica moltissimo. Le ambientazioni sono rese con una cura poetica, i colori tenui e polverosi – azzurri, ocra, verdi smorzati – evocano un passato lontano e fragile, sospeso tra nostalgia e dolore. Non c’è enfasi, non c’è retorica: solo verità raccontata attraverso immagini sobrie e cariche di senso. Le scene della fuga da Genova durante i bombardamenti, ad esempio, restituiscono tutta la tensione di un’Italia dilaniata dalla guerra civile, dove la paura si mescola alla speranza, e il caos della folla in fuga si contrappone alla fragilità di una famiglia che cerca solo un posto sicuro dove sopravvivere. Ma la forza di questo titolo, non sta solo nella sua capacità di restituire uno spaccato storico, bensì nella sua profondissima umanità. Questo non è semplicemente un libro sulla guerra o sulla Resistenza, è un libro sul ricordo, sull’identità, sulla famiglia come rifugio e come luogo della trasmissione. Attraverso piccoli gesti – una mano tesa per aiutare una madre con un bambino a scendere dal treno, un sorriso, uno sguardo gentile – si ricostruisce il tessuto umano della solidarietà, quella rete invisibile che tiene insieme le persone anche nei momenti più bui.

Il dolore della perdita viene affrontato non con rabbia o vendetta, ma con tenerezza, con comprensione, con una ricerca di senso che passa dalla memoria. Luciano non è un eroe, non è un sopravvissuto in senso spettacolare, è un uomo qualunque che cerca di dare voce a una mancanza. La figura del padre, Giuseppe, diventa simbolica: rappresenta tutti i padri che hanno lottato, tutti i corpi scomparsi, tutte le storie che rischiano di andare perdute se non vengono ricordate. E proprio qui sta uno dei messaggi più potenti dell’opera: ricordare è un atto politico, ma anche profondamente umano, è una forma di amore e di resistenza contro l’oblio.
La memoria non è sempre un rifugio, anzi, può essere dolorosa, insidiosa, può riportare a galla sensi di colpa, paure, rimpianti. Ma è anche l’unico modo per non spezzare il filo che ci lega a chi ci ha preceduto. E la famiglia, in questo senso, è la custode di quel filo. Le radici familiari, i racconti degli zii, gli oggetti della casa di campagna, tutto contribuisce a costruire un mosaico fragile ma prezioso di identità.
Guarda il cielo ci ricorda che la storia non è fatta solo di eventi e date, ma di emozioni, di silenzi, di piccoli gesti quotidiani. E che ogni generazione ha il compito di guardare al cielo – cioè al passato, a ciò che non si può toccare ma che resta sopra di noi – per capire dove andare, per imparare ad accettare il dolore senza lasciarsene schiacciare, per riscoprire quella umanità che la guerra e il tempo provano sempre a distruggere. È un libro che commuove senza sentimentalismi, che insegna senza moralismi, che racconta senza urlare. E proprio per questo, lascia un segno profondo. Una lettura necessaria, non solo per ricordare, ma per riconciliarsi con ciò che siamo.
Chi è Simona Binni?

Simona Binni, laureata in Psicologia dell’età evolutiva, si diploma alla Scuola romana di fumetti. Lavora come storyboard artist nella pubblicità, per il cloud di Telecom Italia. Dal 2013 collabora con il Giffoni film festival e con Roma film academy. Nella collana Tipitondi di Tunué ha pubblicato Anima e il vulcano, vincitore al Romics 2015 del premio come “miglior esoridente”, Dammi la mano. Nel 2016 esce, sempre per Tunué ma stavolta nella collanaProspero’s Books, Silverwood Lake e nel 2017 La memoria delle tartarughe marine.
Si ringrazia sentitamente la casa editrice per averci fornito la copia ARC per questa recensione.