Cazzate la randa e mollate la gomena, portate il mezzomarinaio e ammainate le vele, miei compagni di viaggio!
Preparatevi a ondate di salmastro e grigie acque misteriose e maleodoranti, in cui viscide creature immonde e profane strisciano e proliferano beffeggiandosi delle leggi stesse della natura e della salute mentale di coloro che, sventurati, finiscono nel Mare Morto (da non confondersi, prego, col Mar Morto. Quello è bellino e salato ma non nasconde creature dell’abisso infernale che ribollono di rabbia e succhi gastrici n.d.b.).
Oggi salpiamo all’arrembaggio con la ciurma della Mara Corday (non pronunciare Mary Celeste) verso i lidi di un sudamerica di un momento della storia americana tra gli anni 80 e 90 direi.
Riferimenti temporali includono un Vietnam concluso non più di 20-25 anni prima e la presenza di GPS a bordo della nave ma non di cellulari o di Lidar.
E non è di poca importanza il fattore ubicazione cronologica ma non vi dirò altro in merito, solo stateci attenti.
Preparatevi a un viaggio in un luogo sconosciuto all’umanità. Uno spazio tra gli spazi. Quando la Mara Corday, una vecchia nave da carico, entra nel Cimitero dell’Atlantico, l’incubo diventa realtà. L’equipaggio si ritrova intrappolato in un mondo in cui il tempo non esiste e in cui dimorano orrori inimmaginabili. Persi in quel mare immobile, in un aldilà dove il male si manifesta in forme terribili, i sopravvissuti della Mara Corday hanno l’eternità per trovare una via d’uscita… se prima non saranno uccisi dalle creature che danno loro la caccia.
Incontriamo un numero imprecisato di marinai imbarcati per un lavoro ben retribuito per i motivi più disparati ma accomunati per lo più da un gran caratteraccio.
Abbiamo un po’ tutto in realtà: una vasta selezione di personaggi che vengono inizialmente buttati al lettore come cibo per i pesci che attirano l’attenzione e cominciano a creare quel marasma caotico che è questo libro.
Non lo dico con accezione negativa, sia chiaro.
La Mara Corday si trova improvvisamente, e letteralmente, invischiata in una nebbia fitta, pesante, luminescente e… strana.
Come strano è il fatto che non si vedano le stelle, gli strumenti di bordo impazziscano, manchi l’aria all’esterno della coperta e sul ponte e gli uomini cominciano a udire strani rumori all’esterno dell’imbarcazione ma anche da tutto intorno, nella nebbia.
Una nave sbuca dal nulla, penetra la nebbia attorno e colpisce la Mara Corday, affondandola spietatamente e senza possibilità di salvezza per almeno l’80% dell’equipaggio.
Ed è qui che inizia la storia, inizia a entrare nel vivo.
Gruppi di naufraghi sopravvissuti (non tutti sono ovviamente infatti riusciti a salvarsi con le scialuppe di salvataggio) arrancano in un mare che non è più mare: acqua fetida, densa e ributtante che descrivono come una sorta di liquido amniotico infernale, un brodo primordiale caldo, puzzolente e torbido.
Ma non morto.
Sotto la superficie di quella che si continua a chiamare acqua per abitudine si muovono mostri partoriti dalla più malata e deviata delle immaginazioni divine.
Creature abominevoli abitano quelle acque dove banchi di alghe fermano e spostano relitti e naufraghi, formando letteralmente isole e passaggi ma mai una via d’uscita.
Gli strumenti sono ancora fuori uso, per quei pochi fortunati che ne sono in possesso, e i gruppetti di naufraghi non riescono a comunicare tra loro, non sanno nemmeno se sono gli unici ad essere sopravvissuti e sono tutti uno più mal assortito dell’altro.
Ed è seguendo le vicende alternate da un gruppetto all’altro che si dipana la storia che, seguendo tempi televisivi e ritmi a cui Netflix ci ha abituato, che il lettore viene portato a perdersi lentamente con i protagonisti (che mano mano si fanno sempre meno, soffermandosi di più inevitabilmente su ogni singolo personaggio per approfondirlo e conoscerlo meglio) in quel mondo distorto e senza pietà nemmeno per le leggi della Natura.
Man mano che la storia procede e i naufraghi (i sopravvissuti, vah) si riavvicinano e ritrovano, la follia di quel mondo perverso aumenta di intensità, aumentando anche via via il livello di caos e disordine dimensionale che in alcuni punti farebbe impallidire la mia prof di fisica delle superiori.
Ma anche un po’ qualunque fisico, anche se i fan di Star Trek ringraziano sicuro.
Il tutto porta ad un finale con colpi di scena che lasciano senza parole per la… perfezione? con cui l’autore riesce a chiudere un libro dalla trama cosi complessa che fino alle ultime 100 pagine mi chiedevo come avrebbe saputo cavarsi d’impiccio stavolta, il buon Tim.
Ah, non posso che dire che il libro non l’abbia adorato dalla prima all’ultima dannatissima pagina.
È potente, disturbante, terrificante, originale e intrigante.
C’è di tutto: il dramma, la comicità, lo splatter, l’horror psicologico, i mostri, la spiegazione scientifica e quella soprannaturale, tutto.
Ci sono scene che rimangono impresse così tanto nel lettore che ti viene voglia di poter parlare con un altro gruppo di naufraghi per dirgli quello che è appena successo ai loro inconsapevoli compagni, viene proprio voglia di prendere a pugni gente, di scappare da mostri indiscutibilmente ispirati a regni da incubo lovecraftiani o, come suggerisce lo stesso autore, Hodgsoniani (il libro è dedicato in modo commovente a William Hope Hodgson, uno dei fondamenti della letteratura gotica che ha ispirato, tra gli altri, lo stesso Lovecraft. Trovate una mia vecchissima recensione ad una sua opera tra le più ricordate senza dimenticare che parte della produzione di questo autore aveva come protagonista proprio il mare che tutto divora, misterioso e infernale).
L’unico aspetto che non ho potuto soffrire però di tutta la narrazione (a parte un personaggio particolare che capirete leggendo) è stata la prolissità e la ridondanza di tantissime descrizioni.
La ripetitività di alcuni concetti e alcuni frammenti della trama sono uno strumento tipico per creare suspense, trepidazione e senso di angoscia e claustrofobia.
E siamo tutti d’accordo.
Però alla sesta volta che mi descrivi quante persone stanno su una scialuppa e mi passi in rassegna tutto l’armamentario d’emergenza a tua disposizione ti chiedo o di farmi un corso accelerato di strumentazioni navali o di smetterla e proseguire con la trama.
Ecco, unica nota dolente quindi è che in alcuni punti il narrato vuole essere troppo volto a ricordare uno stile gotico di inizio secolo scorso ma che cozza con i ritmi necessari al libro stesso, al registro linguistico e al naturale svolgimento della trama rischiando inevitabilmente in alcuni punti di annoiare il lettore.
Tutto questo è pienamente comprensibile e giustificabile dal fatto che tutto il libro sembra una raccolta di mini episodi che seguono una trama principale in cui in ogni episodio serve un aggancio rapido e circostanziato per ricordare allo spettatore a che punto della storia ci si trovi.
Detto questo non ho nulla da dire se non che è un libro pazzo, folle, assolutamente da leggere e consigliatissimo.
Ovviamente per stomaci forti e per chi non soffre di mal di mare!
Chi è Tim Curran?
Tim Curran è un autore americano, vive nel Michigan con la moglie e i tre figli. Appassionato di horror fin da ragazzo, è un autore di genere molto prolifico. Recentemente i suoi romanzi sono stati pubblicati in Italia, Germania e Giappone.