Recensione Gli affamati e i sazi – Timur Vermes

In un futuro non troppo lontano la Germania ha introdotto un tetto massimo per i richiedenti asilo, l’intera Europa è chiusa ben oltre l’Africa del Nord e al di là del Sahara nascono enormi lager in cui milioni di migranti aspettano. Aspettano così a lungo che se non significasse morte certa attraverserebbero il deserto a piedi pur di andarsene. Quando la famosa presentatrice tedesca Nadeche Hackenbusch visita il più grande di questi lager, il giovane Lionel intravede un’occasione unica per andarsene: insieme a 150mila migranti sfrutta l’attenzione del pubblico televisivo e si mette in marcia verso l’Europa. La bella presentatrice e i migranti diventano campioni di ascolti. E mentre l’emittente televisiva gioisce per la cronaca dal vivo, i record di telespettatori e le entrate milionarie della pubblicità, la politica tedesca volge lo sguardo altrove e aspetta. Ma più il corteo di migranti si avvicina, più il ministro dell’interno Leubl si trova davanti a una scelta: accoglierli o respingerli? A sei anni da Lui è tornato, Timur Vermes torna a osservarci da vicino e con il suo stile acuto e ironico ci consegna un romanzo più che mai tempestivo e attuale su chi siamo e chi vogliamo essere.

Ciao a tutti Amicony e ben tornati per questa nuova recensione che oggi ci porta dalle pianure vaste e infinite dell’arida Africa, fino ai gelidi e umidi palazzi della politica della Germania di un futuro prossimo.
Ringrazio innanzitutto Bompiani per avermene fornito una copia per potervene parlare.
Parliamo di Gli affamati e i sazi, di Timur Vermes, autore già noto fuori dalla Germania per il controverso Lui è tornato.
Gli affamati e i sazi è un romanzo che si ambienta ai giorni nostri, forse leggermente spostato nel futuro ma quel minimo che serve per dare quell’impressione di non ancora successo che rende il lettore distaccato personalmente dagli eventi per rendersi conto di ciò che legge ma nemmeno così tanto da non sentirsi in qualche modo parte responsabile di un mondo che sta cambiando in quella direzione.
Andiamo con ordine.
La Germania ha finalmente regolamentato in qualche modo il problema dell’immigrazione entro i propri confini istituendo di conseguenza una sorta di campi di concentramento in territorio africano.
Non è ben chiaro nè il meccanismo storico che ha portato a questo né tanto meno le dinamiche socio-politiche globali che sono alla base di queste dinamiche ma è in questo sistema che si colloca la nostra storia.
La nostra storia racconta di Lionel (questo è il nome che gli verrà dato per il suo vero nome non lo sapremo all’inizio) che vive la sua vita tra alti e bassi all’interno di uno di questi lager, uno dei più grandi, laggiù in Africa.
Non se la passa male, l’idea è che non se la passi male davvero nessuno, sopravvivono in cattività protetti dal mondo che dal quale scappano e bloccati dal mondo in cui vorrebbero trovare la salvezza.
In questo limbo sulla Prima Terra dell’uomo vivono migliaia, decine, centinaia di migliaia di persone che scappano dalla loro terra natìa, mai definita, per guerra, fame e ricerca di una vita migliore.
La ricca e opulenta Germania non guarda nemmeno più a quell’umanità che ha lasciato indietro, sentendo di aver svolto il proprio sacrosanto dovere di aver accolto immigrati già a sufficienza ed ora, beh, il problema è sempre di qualcun altro.
I ricci e svogliati politici tedeschi hanno le loro questioni da dibattere mentre Nadeche, l’intrepida… giornalista (?) di punta della tv pubblica tedesca è in ascesa, ed il suo programma dove lei appare agli occhi dei grassi e stanchi tedeschi alla sera come una santa benefattrice di miserie umane, comincia forse ad avere bisogno di qualche spintarella in più per strappare altre lacrime a qualche casalinga e altri euro a qualche famiglia.
L’idea è quella di mandare la bella e famosa reporter proprio in Africa, nei campi dove gli immigrati sono raccolti come bestiame, per far conoscere agli occhi del pubblico che tiene le dita delle mani davanti agli occhi, la realtà cruda, in diretta e sensazionale.
In un primo momento, in effetti, le cose vanno alla grande, l’audience cresce, la politica sposta la sua attenzione all’argomento e cosi l’opinione pubblica.
Poi succede che dai lager, in massa, duecentomila persone iniziano una marcia, una lunga, infinita marcia che ha come obiettivo la Germania, la regina cattiva che li ha rinchiusi laggiù.

Stilisticamente il libro è davvero una gioia da leggere: ogni capitolo saltiamo da un personaggio all’altro che però non è mai ben definito all’inizio.
Siccome a grandi linee la storia ha ben quattro diversi focus narrativi (i politici tedeschi, i medi tedeschi in patria, i media tedeschi in Africa e gli immigrati) ad ogni capitolo sappiamo che si raccontano di uno di questi ma non sappiamo bene da subito quale.
Cambia il modo in cui vengono raccontati i fatti, modo, linguaggio, tutto come fossero quasi quattro o più diversi gli autori del romanzo.
Inframezzato poi da pezzi di giornale, articoli di blog, vicende romantiche e situazioni quotidiane, il testo è una storia davvero avvincente ricca di colpi di scena, jump scares, dialoghi divertenti ed emozionanti che strappano un sorriso, una vera risata ma anche un groppo in gola e in ben due parti anche le lacrime.
Se non vi scenderanno lacrime durante la lettura di questo libro per favore, ve lo dico io, licenziatevi dall’essere Umani, ve lo chiedo col cuore.
Con una ironia cruda e molto presente l’autore ci racconta di quella profonda ignoranza che segna il nostro mondo, in questo momento attuale più che mai, sul diverso e sull’accoglienza.
Sull’essere umani, sul soccorrersi, sul condividere e sull’aiutare.
MA
Anche sullo stare in guardia, sul non fare di tutta l’erba un fascio, sul non prendere per dogma una frase politicamente corretta e sopratutto, una cosa che mi ha insegnato: metti in dubbio. Tutto. Sempre.

Nonostante ci siano alcuni passaggi che sono davvero surreali e difficilmente credibili anche in un contesto di fantascienza, distopia o ucronia che sia, anche se lo scopo non è certo la coerenza narrativa in quest’opera ma il messaggio che porta, ci sono alcuni aspetti che non ho del tutto compreso, o che forse ho (spero) frainteso sul personaggio di Lionel che a volte appare più come una sorta di antieroe dalle caratteristiche cosi tanto negative che, affiancate a Nadeche, lascia quasi ad intendere che il discorso dell’autore fosse completamente frainteso, ma lascio a voi l’ardua sentenza.

Il libro è la storia di tutto ciò che implica un viaggio dall’Africa fino ad una destinazione, una destinazione che non è prevedibile fino all’ultimo terribile momento in cui il fiato ti viene strappato per l’ultima volta prima di chiudere il libro, alzare gli occhi e vedere il mondo con occhi diversi… o forse gli occhi sono sempre gli stessi ma, ehi, non era poi cosi futuristica quella storia…

Consigliato a tutti, sopratutto a quelli che ancora pensano “aiutiamoli a casa loro” o “veniamo prima noi, loro pensino a se stessi”.

Timur Vermes, nato nel 1967 da madre tedesca e padre di origini ungheresi, ha studiato Storia e Scienze politiche a Erlangen. Ha scritto per l’“Abendzeitung” e l’“Express” di Colonia e ha collaborato con diversi periodici. Dal 2007 ha pubblicato quattro libri come ghost writer, altri due sono in preparazione. Lui è tornato è stato tradotto in 41 lingue e nel 2016 è diventato un film.

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