Recensione La condanna di John Doyle – Letizia Sebastiani

Mi chiamo John Doyle e da nove mesi,

dodici giorni e otto ore sono chiuso
nel carcere di massima sicurezza di Angola
per l’omicidio di mia moglie. Sono stato
praticamente colto in flagrante, con l’arma
del delitto vicino ai miei piedi e gli occhi
puntati nei suoi. Sono stato catturato,
processato e imprigionato. Sembra tutto
giustissimo, se non fosse che sono innocente.
Quando il mite e insignificante John aveva trovato quello strano simbolo rosso sulla parete della sua nuova casa, l’unica cosa che aveva pensato di fare era stata coprirlo con un’abbondante passata di vernice bianca, nonostante le perplessità di sua moglie Cynthia. Ora Doyle è in un carcere di massima sicurezza, accusato di aver ucciso la moglie: è stato trovato chino sul suo corpo con l’arma del delitto in mano. Nel diario che scrive in cella tenta di raccontare la verità sull’omicidio e su quel simbolo rosso apparso dal nulla che cela un pericoloso mistero. Nessuno crederebbe mai a una storia tanto assurda, ma John non ha nessuna intenzione di morire in prigione…

Ciao a tutti Amicony e benritrovati!
Oggi voglio parlarvi di questa mia recentissima lettura propostami dalla Bookabook che ringrazio tantissimo per avermene gentilmente fornito una copia, “La condanna di John Doyle” di Letizia Sebastiani.
Un libro breve che mi ha saputo intrattenere al punto che l’ho letto tutto in una serata, godendomelo come un bel film.
Anzi, come un telefilm.
Ma procediamo con ordine cosi che sia chiaro il mio riferimento.
Negli anni Novanta e nei primi anni Duemila (ma anche prima, in realtà, solo che a me era arrivato in quel periodo) passava in tv, a ora tarda-ma-non-troppo, un programma che, per quanto pochi episodi avesse (a rotazione giravano sempre gli stessi) aveva colpito l’anima di un sacco di persone tra le più nerd che passassero serate insonni: Oltre i limiti, Outher the limits, il cui format esisteva dagli anni cinquanta, e che era una serie antologica dove ogni episodio era indipendente e autoconclusivo e presentava uno scenario tra il weird, il fantascientifico e l’horror. Oggi c’è ancora qualcosa di simile dal successo indiscusso, di cui mi viene in mente Black Mirror per citarne giusto uno, ma quei piccoli capolavori visti al chiarore dello schermo catodico in 4:3 sono rimasti nel cuore di quanti li hanno visti più e più volte.
Se non fosse ovvio ero tra quelli.
 E difficilmente ho mai trovato qualcosa che si avvicinasse, se non negli ultimi anni coi titoli come quelli accennati qui sopra, al livello di sbigottimento e incredulità che ti lasciavano quegli episodi e quel meravigliato stupore che alla fine rimaneva quasi soffocante per strapparti un verso d’apprezzamento soddisfatto per quell’immancabile cliffhanger di fine episodio in cui o capivi tutto o capivi che non avevi capito nulla finora.
Ecco a voi quindi un episodio di Oltre i limiti, scritto dopo la fine del programma ma che rientra in quei canoni con tutte le scarpe e che lascia al lettore lo stesso senso di disorientamento e fascino.
Leggiamo un diario, un diario scritto inizialmente controvoglia, di John, accusato dell’omicidio della moglie perchè trovato colpevole, senza alcuna ombra di dubbio, col il cadavere della donna, il suo sangue, l’arma del delitto con le sue impronte belle impresse sopra.
Che sia stato lui ad uccidere Cynthia non solo non ci sono dubbi, ma ci sono anche prove su prove e l’insindacabile, definitivo e spietato giudizio della gente, indignata da ciò che lui si suppone abbia fatto e pronta con la propria pietra in mano a scagliargliela addosso.
Ma allora, se tutto è cosi già risolto, perchè John, fin dal braccio della morte del penitenziario, continua a urlare la sua innocenza, la sua estraneità ai fatti?
Il suo avvocato vuole ottenere un po’ di indulgenza dalla corte per non beccarsi la condanna a morte del suo cliente, ma a John non interessa, non gli interessa più nulla dopo la morte della sua amata Cynthia.
Lui vuole che sia noto a tutti che è innocente, vuole continuare a vivere e vuole la sua vita.
Ed è per questo che scrive il diario, riportando per filo e per segno, mentre il tempo stringe, tutto quello che è avvenuto e perchè si è trovato col sangue di sua moglie, l’arma del delitto e il suo cadavere davanti.
Il tempo incalza mentre si avvicina la data del processo, l’ultimo primo della morte per grazia dello Stato, mentre i dimostranti urlano dalle mura del penitenziario, mentre l’anima di John si libera del peso di quel segreto che nasce da quella assurda macchia sul soffitto in casa sua, casa sua e di Cynthia e da tutto quello che non ha mai raccontato finora, per sentirsi finalmente un uomo libero, anche se prima dell’inevitabile esecuzione.
Ed il finale vi lascia col fiato bloccato in gola, con un enorme WTF stampato sulla fronte e un sorriso che, lo so, dal cuore gli dedicherete.
Non dico altro se non che è consigliato a tutti, anche chi non è avvezzo al giallo, al thriller, al fantastico e al noir (c’è un po’ di tutto qui eh) e a chi ha voglia di godersi un bel film a lume di tubo catodico, tarda notte, magari facendo l’alba in una sera d’estate.
Letizia Sebastiani: Vivo e sono nata a Roma, ho iniziato a leggere romanzi a quattordici anni e non mi sono più fermata. Più o meno alla stessa età ho cominciato a scrivere brevi racconti, di solito horror. Il mio scrittore preferito è Stephen King e da adolescente ammiravo follemente Dario Argento. Ho preso due lauree, sono una maestra e una mamma di una bimba di quasi tre anni; svolgo un tirocinio per diventare psicologa forense. Ma non ho smesso di ascoltare musica Metal, vestire di nero e divorare libri e film horror.
E non smetterò mai di scrivere…

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