Così tanto da non riuscire a riconoscere più il volto della madre e della sorella, un volto, quello della madre, che lo inseguirà per tutta la vita; un volto che cercherà di ritrovare, il volto ritrovato.
L’infanzia nel suo paese devastato dalla guerra, la sua avventura a quattordici anni che lo porta in un quasi allucinato viaggio senza dargli le risposte che cerca ma affidandogli un potere che non immagina nemmeno e infine la sua età di quasi adulto, diciannovenne, che deve affrontare il momento peggiore della vita di un uomo.
“C’è solo un modo per affrontare una paura d’infanzia ed è con un’altra paura d’infanzia.”
Il giovane protagonista, ormai “adulto” a diciannove anni, fa della sua passione del disegno il suo lavoro, la sua arte.
Il fascino che creano le sue opere, la meraviglia delle tele, arriva al lettore in modo cosi preciso e diretto, in poche righe di narrazione.
Un commando dà fuoco a un autobus, le lamiere si arroventano, la pelle dei passeggeri cola via e una donna dal volto velato e dagli arti di legno, nata da quelle fiamme, divora la testa di un ragazzino. Testimone di questa scena è Wahab, un bambino libanese che ha appena compiuto sette anni e che di lì a poco abbandona la sua casa. Si trasferisce in «un paese lontano e piovoso», dove la vita trascorre normalmente fino al suo quattordicesimo compleanno, un giorno molto importante per lui: Wahab improvvisamente non riconosce più i volti della sorella e della madre, per lui sono due estranee. Il tempo si inceppa, entra in una linea d’ombra nella quale tutto si disgrega e si sfalda, come i corpi che da piccolo ha visto sciogliersi nell’attentato terroristico in Libano. Wahab teme d’essere impazzito e decide di scappare di casa. E l’inizio di un viaggio, di formazione e onirico insieme, durante il quale incontrerà un mendicante che gli donerà la parola “pervinca”, scoprirà che l’unica cosa che può sconfiggere una paura infantile è un’altra paura infantile e, infine, giungerà in un atelier dove, diciannovenne, attraverso la pittura cercherà di riappropriarsi del volto della madre. L’universo di Mouawad è già tutto in questo suo primo romanzo: il trauma della guerra, la ricerca dolorosa dell’identità, la lotta contro i fantasmi dell’infanzia, la necessità di dire l’indicibile, la sublimazione nell’arte, la parola salvifica…
Fa male quando il ragazzo racconta, in un modo che ricorda quasi la scrittura saramaghesca, serrata e con la punteggiatura studiata, la sua vita fino al momento dell’episodio che conclude il libro, disordinato e confuso, credo e freddo, quasi distaccato.
Chi è Wajdi Mouawad?
Mouawad emigra con la propria famiglia in Francia nel 1978, stabilendosi presso Rouen, trasferendosi poi a Montréal, nel Québec, nel 1983, dove si diplomò presso la Scuola nazionale di teatro del Canada nel 1991.
Dal 2000 al 2004 ha diretto il “Théâtre de Quat’sous” a Montreal.
È autore di molti adattamenti e messa in scena di opere fra cui Don Chisciotte di Miguel de Cervantes e Trainspotting di Irvine Welsh.
Ricevette il Premio letterario del Governatore Generale del Canada nel 2000 per la categoria teatro.
Nel 2002, il governo francese lo nominò cavaliere dell’Ordine Nazionale delle Arti e delle Lettere.
Fece i primi passi sul grande schermo nel 2004 realizzando il film Littoral basato sull’opera omonima.
Il 9 maggio 2005 avrebbe dovuto ricevere il Premio Molière come migliore autore francofono di teatro per l’opera Littoral messa in scena da Magali Leiris con Renaud Bécard ma lo rifiutò come atto di denuncia verso un teatro che non tiene conto della lettura e verso i registi che cestinano le opere manoscritte.
Da settembre 2007, Wajdi Mouawad occupa il posto di direttore artistico del Teatro Francese del Centro Nazionale di Ottawa.
Nel 2014 Fazi Editore ha pubblicato in Italia il suo romanzo “Anima”.
Nel 2015 è tra gli artisti internazionali scelti per i loro progetti teatrali nell’ambito di Mons capitale europea della cultura, insieme a Wim Vandekeibus, Joel Pommerat, Marco Martinelli, Denis Marleau.